Diritti riconosciuti, non concessi
16-02-2018 15:35 - News
A 170 anni da Lettere Patenti e Statuto Albertino, una riflessione sul ruolo fondamentale delle conquiste civili quali strumento di integrazione
Fonte: Riforma.it
Sono passati centosettant´anni. I falò che la sera di venerdì 16 febbraio verranno accesi in molte località della nostra penisola e non solo, sembrano resistere al passare del tempo e attraversare le generazioni. Ma sappiamo bene che la ripetizione di un gesto non garantisce automaticamente che il significato che vi sta dietro sia conservato.
Non sarà una cartolina sbiadita? Un´immagine sfocata? La riproposizione di una festa tradizionale, oramai un´abitudine?
Nel 1848 il re Carlo Alberto di Savoia firmando le Lettere Patenti concesse i diritti civili e politici a valdesi, che fino ad allora vivevano confinati nel ghetto alpino, ed ebrei che risiedevano nel regno. Tale evento aprì per quegli uomini e quelle donne una fase nuova, che significava diritti prima negati, nuove libertà (accesso a scuole pubbliche e ospedali, carriere fino ad allora precluse, una vita anche al di fuori delle Valli valdesi, ecc.).
Quelli furono anche gli anni della recessione economica e della carestia nella zona delle Valli valdesi: la povertà e la ricerca di un futuro migliore portarono a un´ondata migratoria diretta principalmente verso l´Uruguay e l´Argentina, ma anche verso la parte settentrionale del continente americano.
Sono passati centosettant´anni. Oggi assistiamo alla parcellizzazione e alla contrapposizione dei diritti: un´operazione che trova terreno fertile nel nostro Paese, perché si fonda sull´ignoranza e sul malcontento. Il messaggio che sembra passare con facilità è che i diritti sono privilegi specifici, limitati ed esauribili. Delle "possibilità" per fare qualcosa che va oltre ciò che sarebbe giusto e normale. Delle concessioni (ottenute o richieste che siano) elargite da un benefattore troppo generoso. I diritti sono presentati spesso e volentieri come dei bonus fra loro slegati e indipendenti, come un "di più", specie se riguardano persone che vengono considerate estranee alla comunità e alla cultura predominanti. Diventano così dei vantaggi per alcuni che tendenzialmente sono in conflitto con i vantaggi che altri hanno in uno stesso momento. Concedere diritti a tutti quelli che li chiedono non è possibile perché sono limitati e farlo inevitabilmente avrebbe delle ricadute su altri che sarebbero così privati di qualcosa. La richiesta di un diritto suona come un voler alimentare un sistema in cui ci si pesta i piedi a vicenda (unioni civili vs. matrimonio, migranti vs. italiani, ambientalisti vs. lavoratori, giovani vs. anziani,...)
Come è possibile uscire da questo sistema che in fondo rappresenta la mistificazione dei diritti, scambiati per privilegi? Come non farsi trascinare in questa logica individualista o di categoria, che crea solo conflittualità?
Credendo e affermando convintamente che i diritti non si concedono, ma si riconoscono; non si aggiungono come allegati, ma si svelano. Riconoscere i diritti vuol dire integrare, avvicinare le persone, non separare ma unire, creare una società plurale in cui il benessere dell´altro e dell´altra è una parte determinante del mio benessere. In questo quadro diventa centrale la lotta per i diritti degli altri, anche quando apparentemente non mi toccano in prima persona, come la costruzione di una moschea...
Brucino quindi i falò venerdì sera per ricordarci la storia che li ha generati: la loro fiamma non sarà sfocata solo se i nostri occhi sapranno vederla nitida e attuale. Il segno di una libertà che in quanto credenti viviamo come un dono di Dio che vogliamo moltiplicare, un dono che Dio dà a ogni uomo e a ogni donna nonostante il nostro mondo cerchi di ostacolarlo. Un sentiero tracciato sul quale vogliamo camminare insieme.
di Stefano D´Amore
Fonte: Riforma.it